BREVI CENNI STORICI

Le origini del bridge sono fatte risalire ad alcuni secoli addietro; esso viene a giusta ragione considerato la naturale e moderna evoluzione del “whist”, gioco praticato in Inghilterra già nel ‘500 e codificato in regole precise da Sir Edmond Hoyle nel 1742 con la pubblicazione dello “Short Treatise”; fu poi molto in voga anche tra la nobiltà francese, apprezzato da Madame Du Barry, favorita del Re Luigi XV.

Sempre nel ‘700 dall’Inghilterra il gioco e’ esportato nel nuovo continente, soprattutto per merito di Benjamin Franklin, e molto presto si diffonde in tutti gli ambienti del nuovo mondo riscuotendo enorme successo.

Nel 1894, introdotto dal suo illustre socio Lord Brougham, il whist-bridge fa il suo ingresso nell’esclusivo Portland Club di Londra, diffondendosi presto in tutto l’impero britannico fino alla lontana India.

 

Nel corso degli anni le regole del vecchio “whist” mutano gradualmente (scala gerarchica dei semi, punteggio, atout) fino alla introduzione, nei primi anni del secolo scorso, della “licitazione” per stabilire l’atout (briscola); il Whist Bridge si trasforma così in “Auction Bridge”.

Contemporaneamente e gradualmente, grazie anche alla inventiva e iniziativa di grandi giocatori, l’Auction Bridge comincia ad assumere quella vocazione agonistica che presto lo porterà ad essere il “Signore” dei giochi di carte.

Un grande giocatore statunitense, John T. Mitchell, nel 1892 pubblica un volume sul modo di praticare agonisticamente il “whist” e si cominciano a disputare i campionati americani. Da notare che il sistema “Mitchell” per lo svolgimento dei tornei a coppie e’ ancora oggi la formula più diffusa.

Un altro grande giocatore americano, Milton Work, nel 1914 mise a punto un sistema per valutare la potenzialità di una mano in modo diretto, semplice ed immediato. Tale sistema, denominato appunto “Milton Work”, consiste nell’assegnare un punteggio diverso a ciascuno degli onori (Asso=4, K=3, Q=2 e J=1) ed e’ ancora oggi il più usato.

Subito dopo la Prima Guerra Mondiale si diffonde in Francia, proveniente dalla lontana India, una variazione dell’Auction che prende il nome di “Plafond Bridge”: la novità consisteva nella introduzione del principio che le prese valevoli per la partita erano solo quelle dichiarate nel corso della “licitazione” e che, di conseguenza, le surlvèe assumevano un valore molto relativo.

Il “Plafond Bridge” si diffuse rapidamente anche negli Stati Uniti; venne pure fondata una rivista dedicata a questo gioco “The Auction Bridge Magazine”.

Nel 1925 il grande magnate miliardario americano Harold Stirling Vanderbilt, vincitore di 3 America’s Cup di vela, profondo conoscitore e cultore di questo gioco, insieme ai suoi ospiti nel corso di una crociera ha l’intuizione giusta: attribuire congrui punti premio per la realizzazione di “manche” e di “slam” dichiarati e penalizzazioni per le prese di “caduta”; viene inoltre introdotto l’importante concetto di “vulnerabilità”.

Nasce cosi il “Contract Bridge” moderno. 

Nello stesso anno 1925, dai più autorevoli enti internazionali in fatto di regolamento di gioco ed etica sportiva, il Portland Club di Londra, il Whist Club di New York e la Commissione Française de Bridge, sono definite le regole del “Contract Bridge” che sostanzialmente, a parte ovvie modifiche ed aggiornamenti, sono quelle ancora oggi vigenti e che sono osservate in tutto il mondo.

Irrisolta la derivazione moderna e attuale del termine “bridge”: secondo alcuni si riferisce all’allegoria dell’ideale “ponte” che si crea fra i due compagni; ma l’etimologia più comunemente accettata e’ che il termine sia derivato dal russo “Biritich” – nome di un gioco simile praticato in quel paese – tradotto in “Britch”. Più originale ancora il riferimento al fatto che i diplomatici inglesi, di stanza a Costantinopoli alla fine dell’800, per andare a giocarlo al caffè “Le Kèdive” dovessero attraversare il famoso “Galata Bridge” che collega due parti della città vecchia scavalcando il Corno d’Oro.

A seguito della progressiva diffusione del gioco, nella prima metà del secolo scorso  sorgono le Leghe Nazionali e gli Organismi internazionali per dare a questo gioco regole uniformi e farne uno sport nel senso pieno del termine.

Allo sviluppo ed alla notorietà del Bridge moderno, dapprima negli Stati Uniti e successivamente in Europa, contribuisce in modo determinante Ely Culbertson, tra l’altro fondatore della più autorevole rivista in campo bridgistico “The Bridge World”, ancora oggi vera Bibbia di questo sport.

Egli sposò nel 1923 Josephine Murphy Dillon, considerata la migliore giocatrice d’America, con cui formò coppia per 15 anni, fino al loro divorzio.

La sua fama di giocatore ed esperto raggiunse nel ventennio precedente la seconda guerra mondiale vette impensabili; basti pensare che le sue pubblicazioni “The Blue Book”, “The Red Book” e “The Golden Book” furono nell’anno della loro uscita i libri più venduti negli Stati Uniti.

Per dimostrare la superiorità del proprio “sistema licitativo”, egli accettò la sfida lanciata dagli inglesi, fino allora ritenuti i migliori giocatori in circolazione, capitanati dal Colonnello Walter Buller: all’Almacks Club di Londra lunedì 15 Settembre 1930 iniziò la partita e il giorno successivo, ricordato come il “martedì nero”, la squadra americana acquisì un tale vantaggio che risultò impossibile per gli inglesi capovolgerne le sorti.

La vittoriosa partita che, tra la fine del 1931 e l’inizio del 1932, si svolse al Waldorf Astoria di New York contro una squadra guidata dal migliore giocatore allora in circolazione, Sydney Lenz in coppia con Oswald Jacoby, è nota come “La Battaglia del Secolo” ed è ricordata unanimemente come l’incontro più famoso della storia del bridge.

A giusta ragione Ely Culbertson, che grazie al bridge divenne ricchissimo,  può essere considerato il primo vero grande “professionista”: giocatore, studioso e prima icona di questo sport.